Risale all’ottobre 2022 l’ultimo atto di una delle questioni più aberranti per gli operatori della Polizia Locale. Lo firma in una sentenza innovativa la Corte di Appello di Salerno, precisamente il 31/10/2022, su istanza di una parte dei colleghi del Comune di Salerno rappresentati dal CSA e difesi dagli Avvocati Bruno Cossu e Michele De Felice.

La vexata quaestio riguarda la divisa che le Polizie Locali hanno l’obbligo d’indossare, anzi i relativi e necessari tempi di vestizione. Necessario è il termine appropriato per questa strana faccenda. Sembrerebbe banale dover investire del tempo per chiarire in tavoli di concertazione alla parte datoriale che gli operatori di Polizia Locale per ottemperare all’obbligo (in più dispositivi sancito) di prestare il proprio servizio in divisa hanno bisogno del necessario tempo per indossarla e dismetterla.  Invece non è affatto banale se per alcune parti datoriali tale tempo non è necessario.  Si, perché i colleghi del Comune di Salerno, ai quali non era riconosciuta una specifica indennità in assenza di idonei locali spogliatoio fino al dicembre 2015, per vedersela riconosciuta hanno dovuto ricorrere al Giudice Ordinario prima, ed alla Corte di Appello poi. È stato necessario l’intervento di un giudice e di una sentenza per stabilire che una divisa, da indossare obbligatoriamente, comporta tempi di vestizione e di dismissione. E questo, in combinato disposto con l’assenza di idonee strutture adibite a spogliatoi, non può e non deve gravare sul lavoratore. Per chiarirlo, sebbene – ripeto - sembrerebbe un banale assunto, si è fatto ricorso ad un postulato più volte espresso dalla Cassazione (Sezione Lavoro) che è il seguente: “rientra nell'orario di lavoro il tempo impiegato dal dipendente per la vestizione e la svestizione degli indumenti da lavoro, sulla base di schemi obbligatori privi di spazi di discrezionalità per il dipendente e suscettibili peraltro di essere sanzionati in caso di ottemperanza”.

Era dunque necessario aprire una vertenza legale? Non poteva riconoscersi nelle sedi opportune e con i preposti dal contratto, questo assunto continuamente ripetuto dalla Cassazione? Si, era necessario. Nell’oceano di cavilli normativi che regolano il pubblico impiego si opera una costante complicazione normativa in barba alla decantata (da chiunque) semplificazione che resta un lontano miraggio. Nel caso di specie la complicazione normativa è derivata da un pilatesco, ma non troppo, parere Aran richiamato nelle memorie difensive di parte datoriale. L’Agenzia, cui ci si rivolge per chiarimenti ed interpretazioni circa il CCNL in questione, in uno dei suoi pareri da catalogo, il RAL 1281, si dice non competente a chiarire se i tempi di vestizione della divisa rientrano nell’orario di lavoro, suggerendo poi di formulare il quesito al Dipartimento della Funzione Pubblica o al Ministero del Lavoro competente per specifica materia. Ma non si esime dal proporre al richiedente un’analisi delle sentenze della Corte di Cassazione (Sezione Lavoro) datate 2006, 2010 e 2011 con le quali non sembra riconoscersi tale tempo di vestizione come effettivo tempo di lavoro.

Sarebbe bastato, alla parte datoriale, dare un’occhiata veloce a quanto la stessa Corte di Cassazione (Sezione Lavoro) ha poi affermato in una sentenza del 2015 (peraltro richiamata nel dispositivo che la vede soccombente) per valutare meglio il peso della parieristica Aran e quello della giurisprudenza di Cassazione. Tale valutazione, questa si necessaria, avrebbe dato un impulso positivo e corretto al sistema di relazioni sindacali interno. E in tutti gli enti, tutti i loro preposti a tali attività, dovrebbero tendere alla correttezza ed all’efficacia del sistema di relazioni sindacali interno: è uno strumento formidabile e validissimo per costruire enti locali efficienti ed in grado di offrire altissime prestazioni professionali e servizi al cittadino.

Prescindere dall’importanza di tali tavoli concertativi apre la strada a stagioni di vertenze su temi essenziali, il c.d. “minimo sindacale”, che danneggiano sempre e comunque tutti, anche i vincitori. Perché se per affermare e vedersi riconoscere un diritto, sebbene lo stesso possa apparire banale, bisogna ricorrere sempre ad un Giudice, allora non si svilisce solo la nobile attività concertativa, datoriale e sindacale, ma a svilirsi è il legame datore-lavoratore il quale invece, nel caso della Polizia Locale, proprio in virtù dei rischi connessi alla divisa che gli operatori vestono, dovrebbe essere continuamente alimentato riconoscendo la dedizione e gli sforzi profusi da tutti gli appartenenti al Corpo.

Resta inevitabilmente un po’ di amaro, nonostante la vittoria dei nostri colleghi salernitani cui va un plauso per la temerarietà espressa. Si apre invece, per il Corpo della Polizia Locale di Napoli e per la sua parte datoriale, un tempo di riflessione sul tema: anche noi, come i colleghi di Salerno, non siamo dotati di idonei locali spogliatoio e non percepiamo più (precisamente dal 2022) una indennità risarcitoria riferita al tempo di vestizione e dismissione della divisa.

A breve si procederà al confronto sui temi del nuovo Contratto Decentrato e questo tema specifico non sarà certo trascurato. Tuttavia, prima di affrontare tutte le questioni relative a questa stagione contrattuale, una richiesta, però, ci sentiamo di avanzarla: come detto prima, sappiate bene valutare e soppesare tutti i cavilli normativi in cui vi imbatterete; non sarà certo l’esame di un parere o di una sentenza al posto di un'altra a spegnere la necessità, oramai impellente, di una giusta retribuzione e valorizzazione delle prestazioni compiute e da compiersi, che tutti gli  appartenenti al Corpo della Polizia Locale di Napoli porteranno al tavolo attraverso i propri rappresentanti.

Veronica Gioia
CSA Napoli