Luana aveva ventidue anni e faceva l’operaia tessile in un’azienda di Prato. Era un’operaia, ed anche bella, oltre che mamma di un bimbo piccolo.

In questi ultimi giorni abbiamo visto ripetute volte in televisione e sui social il suo aspetto fisico, la disperazione dei genitori, gli ambienti dove viveva, i suoi oggetti personali.

Non sappiamo se sia giusto tutto questo, e vorremmo pure che non ce ne fosse bisogno. Ci piacerebbe che tutte le morti sul lavoro godessero della necessaria attenzione senza il bisogno di essere telegeniche e commoventi. Siamo certi che questa morbosa autopsia della vita privata, quella di una ragazza normalissima, farebbe rabbia alla stessa Luana, se fosse ancora tra noi.

Ci sembra sconcertante anche questo discutere di quanto avvenuto come se si trattasse di un evento sfortunato, come se Luana fosse stata colpita da un fulmine sulla testa mentre passeggiava senza meta nella campagna toscana.

Luana è morta mentre provava a guadagnare il necessario per dar da mangiare a suo figlio, è morta per le ferite causategli da una macchina costruita per produrre merce attraverso il lavoro delle sue mani. E’ questa la fredda eppur necessaria descrizione di quanto avvenuto.

Giovedi’ 29 aprile, pochi giorni prima della sua morte, ne sono morti altri cinque.

Cinque in un solo giorno, a Taranto, a Vicenza, Potenza e in un cantiere Amazon di Alessandria. Nessuno ne ha parlato e i loro nomi non sono stati pronunciati davanti a nessuna telecamera. Mattia, Flamour, Natalino. Degli altri due nessuno fra gli articoli che abbiamo recuperato riportava le generalità. Solo numeri, numeri senza volto, senza storia. Anche loro avevano figli, ma di questi non si è parlato, forse perché in questo caso i caduti erano maschi e probabilmente non avevano un bell’aspetto come Luana.

Il giorno prima altri due. Uno si chiamava Pierluigi ed aveva cinquantacinque anni. L’altro, senza nome, di anni ne aveva trentaquattro ed è caduto da un tetto.

Da gennaio di quest’anno sono morti 218 lavoratrici e lavoratori. Se contiamo anche gli infortuni in itinere sono 435, più 88 comprendendo anche il personale medico morto a causa del covid.

Una guerra. E non se ne parla mai. Però si parla di Fedez, dell’omofobia, dei diritti degli omosessuali, della lotta alle discriminazioni.

Tutte cose giuste e condivisibili, ci mancherebbe, ed in riferimento alla proposta di legge attualmente in discussione noi riscontriamo elementi di ragionevolezza e buon senso sia nelle posizioni di coloro che la sostengono che nelle critiche di coloro che la avversano.

Il primo maggio però, con tutto il rispetto per queste importanti questioni, avremmo voluto parlare di lavoro, del lavoro che c’è e che da la morte invece che la vita a centinaia di persone ogni anno, solo nel nostro paese, e del lavoro che non c’è.

Non abbiamo niente contro Fedez e riteniamo le sue idee legittime e degne della massima attenzione, ma avremmo voluto un Primo Maggio diverso, essendo questa ricorrenza ancora dedicata ai lavoratori.

Ma come è possibile che nemmeno in queste giornate si riesca a parlare di sicurezza e di morti sul lavoro, nemmeno se due giorni prima ne sono morti cinque? E’ accettabile che per parlarne ci sia bisogno a tutti i costi di un bel volto e di un fisico accattivante?

E’ una vergogna, e noi ci vergogniamo anche in nome di Luana che meriterebbe qualcosa di molto più concreto e politicamente rilevante che la spettacolarizzazione del dramma suo e della sua famiglia.

Si potrebbe iniziare ribadendo che non è stata sfortunata, che la sua morte non è stato un incidente, e siamo stufi anche del fatto che le morti sul lavoro vengano sempre definite in questo modo, come se si trattasse di eventi naturali imprevedibili.  

Luana è morta perché le imprese non investono in sicurezza quanto necessario e perché lo Stato non fa di questa necessità un imperativo ed una priorità nelle scelte di governo in materia di investimenti, basti pensare alla costante riduzione del personale addetto ai controlli sui luoghi di lavoro.

Come lei muoiono in media due lavoratori al giorno poiché il quadro complessivo, al netto del lavoro nero che sfugge ad ogni regolamentazione, presenta norme generali che rendono i lavoratori e i loro rappresentanti ricattabili, muti ed impotenti di fronte al mancato rispetto delle regole minime di salvaguardia della vita umana.

Luana e tutti gli altri muoiono perché il profitto conta più delle persone, perché ci siamo rassegnati all’inevitabilità di una continua discesa verso un inferno nel quale i caduti saranno progressivamente considerati una fastidiosa escrescenza del sistema produttivo.

Il cordoglio non serve a nulla. Se vogliamo rendere davvero onore alla memoria di questa giovane lavoratrice e madre e di tutti coloro che hanno lasciato questo mondo mentre si guadagnavano da vivere, dobbiamo acquisire la piena coscienza delle cause dei processi che concorrono a determinare questa strage d’innocenti.

E’ un nostro dovere, poiché le responsabilità sono certamente del Governo, delle imprese, dei sindacati, ma anche nostre in quanto lavoratori e cittadini rassegnati, pigri, incapaci ormai anche solo di immaginare un mondo nel quale il lavoro sia soltanto fonte di vita e giammai di morte.

E allora svegliamoci e lottiamo per costruirlo questo mondo nuovo. Lo dobbiamo a Luana, a Mattia, a Natalino, a Gabriele e a tutti gli altri.